Stanno tutti a pubblicare le foto vecchie di carnevale e questo mi mette malinconia. Sono andata a vedere pure le mie, un paio di album salvati, incerta se condividerle o no. C’è un sacco di gente, come sempre un sacco di risate, alcuni ricordi che voglio cancellare e altri che ho voluto restassero con me ché pure i sampietrini ne parlano ancora.
Passo a passo.
La roba che ho bevuto si vede. E le cose che ho sentito pure. O magari le vedo solo io perché sono sempre un po’ poeta e le cose me le invento più che vederle davvero. Ma io ne conosco il contenuto più intimo, quello che c’era davvero, in tutti i giorni di tutti gli anni che ho vissuto lì e persino dentro le ruette dove ho pisciato nelle notti di festa grande e ci ho fatto posto a qualche sconosciuto che è finito a reggermi per aiutarmi a non pisciarmi sulle scarpe o per non appoggiare il culo nudo alle mura.
Sbandavo dritta. Perché c’ho sempre avuto un forte senso di responsabilità nonostante il fiume di roba che mischiavo e tante volte mi versavo addosso tipo sul cappotto e sul cappello che non lasciavo mai. Sbandavo in giro per dimenticare qualcosa e ricordarmene un’altra, sentirla come poche cose si sentono per tutta la vita e baciavo allegramente la gente sconosciuta.
La morte proprio, dentro.
Il Carnevale mio era infinite bevute, dalle sette pm alle sette am e qualche pisciata tra una rua e l’altra finché non si chiudeva la saracinesca, la domenica sera.
Leave A Reply