Ogni giorno tuffo il cervello dentro a un mare di codici, nuoto in apnea tra linguaggi di programmazione e lingue che non sono le mie, mi rilassa perdere la testa tra un div e l’altro, tutto diventa una griglia logica da risolvere.
Non è matematica.
Entro nel flusso, non mi accorgo del tempo che passa, fumo e bevo decaffeinato, mi diverto tantissimo. Atom è il mio compagno di viaggio in questo lavoro e alla fine di ogni giornata mi sento quasi sempre un genio.
Ma non ho fatto più le cose geniali.
Non ho più inventato cose, disegnato cose.
Non ho più progettato.
Non mi manca affatto il mio vecchio lavoro anzi, mi chiedo sempre più spesso come io abbia potuto farlo per 24 lunghi anni, io che sono nata tra un Commodore 16 e un Commodore 64 e che a sei anni copiavo con le manine piccole i codici scritti sui libri stupendomi dei grafici verdi che ne scaturivano e chiedendomi come potevano, cinquanta o cento righe composte da numeri e poche parole in inglese, diventare all’improvviso sinuose curve mobili.
Però non ho più fatto cose.
Perché mi manca la musica, il buco nella parte destra del cuore – che non si è mai riempito pure se ho aggiustato le crepe – le ruote delle biciclette o la luce gialla che usavo sulle mie fotografie, la nebbia di notte quando me ne andavo in giro sola svestita di certi pensieri tristi e maligni e mi sognavo di qualcuno che mi veniva a salvare se sopra al ponte mi tremavano le gambe o se s’interrompeva la fisarmonica.
Così. All’improvviso.
E quando nevicava…
Ritrovare il filo delle coseil capo di un cerchio che mai si chiuderipercorrere notti che sanno di Montenegrole sere di Americanoe di riunioni segrete attorno al tavolino di una saladopo risentire il rumore delle suole sul pavimentodi legnoil crack di un gancetto che non reggee che non ti fa chiudere gli occhi.Riascoltare i sentimentiche creano cosel’odore dell’inchiostro che le plasmai passi tra le pareti fatte di secoliil rumore della penna sulle pagine biancheil regalo di una bambina che ritorna.Ho lasciato gli occhi a vagare tra l’altezza di pareti umidee la punta tonda di un paio di scarpette rosselaccate sopra l’opus spicatum,ci ho lasciato il cuore.Tu tum, tu tumIl buco rosso fa sempre rumoreTu tum, tu tumcome il suono gracchiante del Big Bangma con più ritmoTu tum, tu tumad appoggiarci l’orecchio si può ancora sentirebattere ancora ma senza più frettasenza più preteseTu tum, tu tum.
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