Questo è il mio ringraziamento a DUE MATTI che mi hanno convinta a navigarmi.
Per entrambi ho la massima stima e riconoscenza ma a una dei due offro il mio amore incondizionato, che c’è sempre stato e che sempre ci sarà ma che oggi è ancora più grande… se mai fosse possibile.
Dovrebbero esistere più matti come loro.
La prima volta che sono entrata nello studio ho pensato che erano DUE matti.
A uno dei due glielo raccontavo oggi, dopo aver passato un’ora a parlare delle vacanze e dei posti da visitare nei giorni a venire.
Ecco, se quasi un anno fa ho deciso di sedermi di fronte a lui è stato esclusivamente per non perdere la stima di quell’altra matta le cui (s)conclusioni mi sembravano andare completamente fuori strada. Anzi, volendo essere onesti, se stavo lì seduta buona buona, era per farla contenta e per poterle dimostrare, a un certo punto, che si sbagliava.
Quello che mi succedeva da decenni era normale e siccome una scusa la trovavo sempre, la colpa era semmai dell’operazione subita l’anno prima. Non è che mi rendessi conto che “decenni” e “un anno prima” fossero luoghi così lontani per essere collegabili, né che solo pensarlo facesse un sacco ridere.
La seconda volta che mi sono alzata dalla sedia di una stanza sempre diversa ho pensato che non ne avrei cavato un ragno dal buco come sospettavo, però il pensiero di una tesi vittoriosa sotto braccio era sufficiente a farmi andare avanti.
La terza volta abbiamo discusso di patatine, tenevo il mio sacco gigante sulle gambe e per tutto il tempo mi sono chiesta dove sarebbe andato a parare. Quella volta sono uscita con una consapevolezza in più però: prima di arrivare nel mio stomaco, la patatina fa davvero un giro del cazzo.
La quarta volta la cioccolata sapeva di ricino e benzina, ricino e benzina.
Poi non ne abbiamo più parlato.
DUE MATTI.
Però mi incuriosiva questo modo suo di fare le magie
Perché a me le patatine erano sempre piaciute, e la cioccolata al latte pure e, a dirla tutta, l’avrei mangiata pure se avesse saputo di fogna.
Le volte che non mi sono bastati i fazzoletti ho pensato che “quello lì” mi stava scavando dentro dei buchi a colpi di tritolo ma quando sono rimasta triste e arrabbiata per una settimana intera mi è venuto il dubbio che QUEI DUE MATTI Lì c’avevano ragione.
E tanto più piangevo tanto più mi liberavo delle cose dell’anno prima, e dei decenni, e dei ventenni e dei trentenni prima di mo’.
Seduto dall’altra parte della scrivania, l’uomo matto mi ha fatto rincontrare il dolore, la pura gioia e la libertà dei bambini.
Ho così scoperto che non mi sono mai meritata le mortificazioni ma che le ho accettate come se me le fossi meritate già solo per il motivo di essere nata quarantottanni fa.
Alla fine, al posto di quella tesi sbilenca e senza reali fondamenta, sotto braccio mi ci sono messa un sorriso e mille ringraziamenti.
Da quando mi sono seduta di fronte a Maurizio sono passati tanti mesi e mai per una sola volta mi sono ritrovata a desiderare di non vederlo e ascoltarlo, perché quando qualcuno si prende cura di te con quella certa gentilezza che tu neanche ti ricordavi esistesse, che ti risana ora dopo ora, volta dopo volta, giorno dopo giorno e lo senti che davvero lo fa, tu quella persona te la vorresti portare pure a casa, gli vorresti fare un monumento, gli vorresti fare, invece che una borsa disegnata.
Io Maurizio non me lo posso portare a casa ma me lo porterò sempre dentro di me, perché non voglio dire che mi ha salvato la vita ma il cuore si. E la testa anche.
Mi ha insegnato a riconoscere certe situazioni e a ricordare i nomi di tutte le persone che hanno rotto o si sono portate via dei pezzi di me, tutte cose che hanno fatto sì che io iniziassi a riempire quei posti vuoti coi cornetti pieni; è grazie a lui se nella mia lontana e appena percettibile desolazione ho ritrovato quello che di me era nascosto sotto cumuli di monnezza.
A metà strada, la percezione che avevo di me stessa era di una tipa chiusa in una gabbia dove le cose riaccadono ciclicamente in un infinito rimanifestarsi, sempre e comunque allo stesso modo.
Al momento della partenza mi avevano detto entrambi che sarebbe stato un percorso duro e doloroso ma che ne sarebbe valsa la pena.
Due. Matti. Comici.
Quanto cazzo c’avevano ragione.
Oggi penso di essere arrivata alla fine di questa incredibile e magica storia, Maurizio mi ha lasciato libera prima delle ferie, prima di salutarlo gli ho detto che mi sentivo come una tossica che usciva dalla comunità con quell’incertezza tipica che spesso hanno i tossici: mi rifaccio una pera subito o aspetto un altro po’, tipo domani?
Nel frattempo sono passate due settimane che sembrano lunghe anni.
In me non c’è più traccia di quella che sono stata quasi tutta una vita e a dirla tutta, com’ero, non me lo ricordo nemmeno più.
Non mi sento libera perché lo sono sempre stata, mi sento liberata.
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