Nel silenzio c’è solo il fruscio delle ruote della mia bicicletta che investono tappeti di foglie sparsi qui e là.
La domenica pomeriggio alle ore 15.30, il paese sembra un luogo morto, tipo uno sperduto paese in qualche parte della Sicilia, col sole ancora a picco e le temperature alte.
Ma è ottobre, e sebbene indossi dei costosi occhiali da vista con le lenti azzurre, è tutto giallo, ed etereo, e sgradevole, e fastidiosamente caldo.
C’è un ragazzo con qualche problema sulla soglia di un porticato, mi saluta con quelle mani un po’ storte e un po’ no, ricambio con un mezzo sorriso e un polmone verso il collasso e tiro dritto.
Mi fa specie la gente e forse non è così male questo paese che immobile protegge l’obbligo di dover stare per i cazzi miei.
Pedalo e osservo balconi ordinati, finestroni spalancati e vasi di limoni; non credo siano andati tutti affanculo, non che all’improvviso siano scesi che so, gli alieni, a succhiare linfa vitale per poi ripartire verso altri mondi tra qui e la fine dell’universo.
Se una fine c’è, trallaltro.
Non lo credo. Credo però di non avere bisogno di stare da sola pure se ci sono abituata e ne ho esperienza e ho imparato a trattare la solitudine e a riempirla di cose difficili da spiegare per me o difficile da vivere per gli altri. Mi tiene persino compagnia mentre pedalo e cerco di unire mentalmente i puntini di una mappa fatta alla cazzo di cane, provando a tenere fuori sensazioni che so a memoria e che non voglio né rivivere né ripetere, di cui sono pregne le mie vecchie fotografie.
Che mi danno il vomito.
Mi guardo l’orlo della tuta sformata, l’unica cosa che posso indossare che non mi stringa la pancia, la suola bianca delle scarpe da tennis a contatto col pedale nero, credo di aver fatto un paio di chilometri in questo scenario uguale a me
una merda sospesa nel niente
poi sono tornata indietro.
Le discese sono sempre meglio delle salite, certo è un’ovvietà ma non sempre è nella salita che ci si esprime meglio. Ho messo la marcia numero ventuno e sono scesa di volata, contromano fino a casa, l’aria fresca sulla maglietta è la parte più bella di questa domenica di pensieri aggrovigliati ma sensati, chiari ma privi di futuro.
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