Stasera sono stanca e il mio cervello continua a macinare codici pure se ho staccato alle sei, penso sia andato in loop tra uno <style> e l’altro del mio capo e quelli degli americani. Vabbè.
Potrei allungarmi sul divano e non pensare a niente ma ho bisogno di scrivere qualcosa in italiano prima che comincio a fare confusione tra me e me l’altra, quella che studia come se fosse tornata a scuola e che prova ad affilare due frasi sensate e soprattutto corrette in inglese.
Amo tutti i miei colleghi, sono sempre fonte di cultura per me, li trovo curiosi in quel modo che mi piace perché mi insegnano e io ho ancora tante cose da imparare.
Però ad un certo punto anche basta, ho bisogno di aria, di ritrovare la mia italianità che non è fatta di idiomi da interpretare nel giusto modo o di verbi da coniugare ragionandoci all’istante mentre parlo.
Oggi pomeriggio ad un certo punto vedevo tutto appannato, ho fatto una camminata fino al bar per prendere aria e ho mandato un messaggio a mia cugina giusto per leggere una riposta nella mia lingua.
Non avevo niente da dire e non ho trovato nemmeno una parola sensata da scrivere in italiano.
Le ho scritto piripì.
Che cazzo di parola è piripì?
Sono tornata davanti al pc nel giro di 5 minuti.
Codici, immagini, call, testi, call, codici e così via.
Durante l’ultimo meeting sono intervenuta e ho parlato cinque minuti buoni, non mi sarei neanche fermata se non si fosse esaurito il mio argomento di discussione, avevo bisogno di parlare.
E sfogarmi.
Qualche volta, raramente direi, vengo posseduta da una sorta di spirito poliglotta che mi guida in quello che devo dire e allora non ce n’è per nessuno.
Ad un certo punto ho detto: we have to sell! Che detto da me, il cui campo non è mai stato quello delle vendite – e spero mai lo sarà – è tutto un dire; mi ero così infervorata…
perché in fondo mi sarei un po’ rotta i coglioni di stare sempre zitta e annuire relegata in quell’angolino che mi sono ricavata per proteggermi.
La strategia comunque ha funzionato, ho visto colleghi annuire durante il mio dibattito e ad un certo punto mi sono sentita come Martin Luther King durante il suo “I have a dream”, con la gente fuori di senno che applaudiva e la standing ovation finale.
Io comunque, in generale non lo so mica che cazzo ho detto.
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