Essenziale
/es·sen·zià·le/
aggettivo
Costitutivo dell’essenza, quindi sostanziale, indispensabile (contrapposto ad accidentale, accessorio )
Essenziale.
Il tempo racchiuso nella memoria della mia macchina fotografica ha degli anni, si capisce sia nell’uso che nell’estetica. L’obiettivo è pieno di polvere e granelli di sabbia, per dire.
Quando scatti, il diaframma si chiude e resta bloccato lì, in un piano nero di un buco nero che non si capisce dov’è. Ha funzionato bene per anni comunque, finché un compagno di passaggio, in una divertente sera umbra, ci ha versato sopra un bicchiere di birra, tutta insieme, proprio sopra al pulsante di scatto e io ero abbastanza ubriaca da preoccuparmene.
Dopo l’incidente ha continuato a funzionare per altri anni, almeno tre o quattro direi, poi è deceduta, motivo per cui ne ho comprata un’altra, stessa marca colore opposto.
Bianca, bella come la neve.
E inutile.
Inutile perché l’ho comprata che stavo smettendo di fare fotografie e poi perché non mi sono neanche accorta che l’obiettivo ha un difetto: sfoca da un lato. Ho smesso perché mi sono stancata di scattare e poi lavorare e poi pubblicare e a un certo punto non ho avuto più lo stimolo adatto. Il sentimento, il sentire che ti porta a guardare le cose in modo diverso e in regola di terzi, se vogliamo. Non ho avuto più quella cosa che mi muoveva, che mi ribolliva dentro. Non ho avuto più molto da dire, insomma.
Problemi risolti.
Stop.
Però prima che questo accadesse ho organizzato una mostra, un omaggio a quattro lunghi anni di merda e brevi gradevoli sfumature, se si può dire.
Un omaggio alla compagnia che ho avuto: quasi. sempre. me stessa.
Dicevo che ho scelto 80 foto delle millemila scattate e ci ho fatto una mostra molto bella, pareva.
Dopo, l’hd dove tenevo i sorgenti è schiattato e io ho pensato meglio così, e non ero manco ubriaca, devo dire.
Poi mi è venuta voglia di rivedere chi ero, le cose che facevo e come le facevo e quell’hd l’ho portato ad aggiustare e il tipo forte del negozio ne ha recuperate una buonissima parte se non addirittura tutte.
La prima volta che ho aperto il nuovo hd è stato per cancellare la roba doppia o i file che non si aprivano, la seconda per cercare le cose che ho scritto e che spesso hanno accompagnato le mie fotografie, la terza per guardarle.
Insieme a loro però, è divampata una zaffata di merda lunga quattro anni e proveniente da altri dieci indietro, un buco spaziotempo come quello del diaframma che però mi voleva risucchiare dentro. Ho chiuso subito, come fosse quel libro malefico che ho visto da bambina nel film gli orsetti del cuore e che si tirava appresso tutto.
Allora ho aspettato di avere un mood più potente del demonio prima di aprire di nuovo la cartella dedicata. Un mood tipo oggi. Che ho messo la sveglia alle sei per una call alle sette e alle sei e cinquantotto mi sono alzata con una forza centrifuga innaturale per passare poi il resto della giornata ad annoiarmi, cliccare tra una foto e l’altra, mela+L, mela+S, sposta nel cestino.
Ho guardato pure le foto della mostra.
E niente: fanno cacà.
Alla fine ho tirato fuori quattro barra cinque foto, quelle che non sanno di depuratore e di fiato di gatto con la felv. Alcune le avevo anche lavorate in passato, in modo così pesante da nascondere persino il senso di ciò che c’era sotto, quindi diciamo che le ho ripulite, altre non le avevo neppure mai considerate.
Così mi sono accorta di come cambia il sentire, il percepire e il vedere. Tanti anni fa ero orientata al barocco, al mettere il mio sapere di grafica nella fotografia, magari proprio tutto in una fotografia, a sporcarle, a sentirmi bene nel farlo, quasi come volessi sporcare me stessa, nascondere quello che c’era sotto, nascondere pure il senso delle mie giornate, scegliendo dei tagli che mi sembravano artistici solo perché mi sentivo artista – senza davvero esserlo – e tutto il mondo lo doveva sapere; oggi invece mi oriento al meno, al minimale, al togliere.
Per dire, ho preso una foto fatta in stazione, la foto di un treno, soggetto: treno, con un taglio netto l’ho eliminato, ho eliminato pure gli edifici dietro e gli alberi di fianco. Mi è rimasta solo la ciminiera della sice, bianca e rossa a righe, davanti al cielo azzurro in un formato quadrato che raramente ho preso in considerazione.
È venuta molto bella, antica, mi ha fatto pensare alle cose, alle situazioni, alla vita anche, che ad un certo punto inizi a togliere, a potare, un po’ qui, un po’ là, a eliminare il superfluo, persino ciò che all’apparenza sembra importante, e dopo, direi all’improvviso, quando neppure te l’aspetti quello ti appare, dritto, impettito, davanti agli occhi: l’essenziale.
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