Quando i pappagalli stanno zitti, dove abito io c’è un silenzio profondo.
È un fatto di cui non sempre mi accorgo data l’abitudine ma è una cosa che notano le persone che non vivono qui e che di tanto in tanto mi vengono a trovare. Tante volte i pappagalli fanno come le cicale, iniziano e smettono di rompere il cazzo tutti insieme. I Roseicollis e i Fischer cinguettano, i parrocchetti fanno la voce dei bambini, le calopsiti emettono jingle d’accoppiamento, il cenerino di tanto in tanto parla e l’amazzone alterna frasi che conosce bene a strilli insopportabili. Ho avuto problemi alle orecchie anni fa e ancora oggi i rumori forti mi danno fastidio, loro non mi aiutano finché non smettono.
Tutti insieme.
Come le cicale.
Allora quel silenzio profondo e caratteristico sovrasta ogni cosa. Di là del mio terrazzo ci stanno tre secchi dell’immondizia e nel silenzio di questa domenica pomeriggio dal cielo mezzo velato, è già la terza persona che sento buttare bottiglie o cose.
Tonf. Il rumore sordo del coperchio.
Trishtrish. Quello del vetro che sbatte contro ad altro vetro e si frantuma in cento altri vetri.
Alcune persone, me compresa, riversano il proprio sadismo nell’atto di gettare bottiglie in contenitori appositi. Io per esempio non le lascio scivolare, inserisco solo il collo della bottiglia che essendo più larga alla base si blocca sull’orlo del buco di gomma, poi prendo un’altra bottiglia o un barattolo e l’appoggio sopra, dopo spingo con tutta la forza che ho. Mi piace sentire il rumore del vetro che si rompe, mi da un senso di liberazione e di onnipotenza, allevia lo stress, anche. Bisognerebbe sempre avere qualcosa da rompere a portata di mano secondo me. Perciò non mi disturbano le persone che vengono a buttare la roba, pure se sono le 2,30 di un pomeriggio a caso, anzi le supporto, le capisco anche, quelle vengono a sfogare lo stress mica a fare casino.
Poi è di nuovo silenzio profondo finché un aereo di linea non passa in alto nel cielo o il vento a favore non porta il rombo di un’auto della superstrada che corre di là del paese e del fiume, entrambi relativamente lontani.
Questa domenica è di colore giallo. E grigio. Il tempo sta cambiando e le nuvole schermano la luce che in genere rende colorati i colori. Così le foglie a terra sono più gialle del classico giallo e quelle sugli alberi sono più gialle del classico verde e l’asfalto è più giallo del classico grigio, e sono gialla pure io. Di nuovo silenzio profondo per un altro attimo, finché qualcuno torna a casa in macchina oltre l’ex campo di grano già ex vigneto o finché un refolo di vento non muove le chiome. Allora sembra che un mucchio di palline di carta rotolino in discesa sulla strada.
Una notte d’agosto di tanti anni fa, tra le 4 e le cinque di mattina. Mi svegliai di soprassalto nella penombra della mia stanza per via di questo rumore sulla strada, come di qualcuno che trascina catene o comunque robe di ferro; mi spaventai a morte eppure mi feci coraggio. Sono sempre stata così, un po’ cogliona e un po’ coraggiosa. Mi avvicinai alla persiana e guardai di sotto immaginando mostrizombie e fantasmi. Alla luce dei lampioni e nel resto della notte, Rosina trasportava barattoli di vetro stipati in una carriola. Bisbigliai un vaffanculo e tornai a dormire.
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